Storie Azzurre: Thomas Larkin. “Con la maglia della Nazionale ritrovo la purezza e il divertimento di quando ero bambino”
La prima volta che Thomas Larkin ha vestito la maglia azzurra è lontana nel tempo quasi 20 anni, trattandosi del Mondiale Under 18 nel 2007. Tra le prossime volte ci saranno i match che la Nazionale italiana disputerà alle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026: in mezzo a questi due eventi c’è tanta vita da parte di un ragazzo diventato simbolo di passione e serietà, e non per caso chiamato a guidare il Blue Team. Il viaggio per essere il Thomas Larkin di oggi però è stato molto lungo, e in questo racconto si vuole far scoprire come e cosa il difensore cresciuto hockeysticamente a Varese abbia vissuto.
TRE PAESI, DUE CONTINENTI, UNA PASSIONE – Se c’è una storia internazionale è quella di Thomas Larkin, nato a Londra il 31 dicembre 1990 da mamma milanese e papà statunitense di Boston. Tutta la famiglia si era trasferita in Inghilterra nel 1987, e lì sono nati Thomas, sua sorella Alexa e suo fratello Philip, quindi nel 1994 il passaggio in Italia. Prima a Varano Borghi e poi Cocquio Trevisago, sempre in provincia di Varese, quella Varese dove Thomas frequenta la Scuola Europea. Nella Città Giardino arriva il primo incontro del capitano azzurro con l’hockey su ghiaccio: “Andavamo a fare nuoto nella piscina adiacente il vecchio Palalbani. Una volta eravamo saliti al bar dalla cui vetrata si vedeva la pista, mio fratello maggiore ha chiesto se poteva provare e io l’ho seguito. Il primo allenatore è stato Nenad Ilic (attuale tecnico del Como ndr) e ci ho messo poco ad appassionarmi: all’inizio chiaramente facevo solo esercizi per imparare a pattinare, ma presto ho iniziato a divertirmi e fare gruppo con gli altri bambini della mia età. Da bambini poi siamo diventati ragazzi e con diversi di loro, tra cui ad esempio Tommaso Goi, Andrea Vanetti, Alex Caffi e i fratelli Borghi, siamo ancora in contatto. È stato un periodo speciale della mia vita, lo ricordo con enorme gioia. Giocavo in attacco perché già a 12-13 anni ero molto più alto della media, non mi ritenevo un fenomeno ma veramente guardavo solo al divertimento”.
NON COSÌ FACILE COME SEMBRA – In tanti di quella squadra hanno scelto di andare a giocare nella vicina Svizzera, pur mantenendo comunque un filo legato con il movimento di Varese, ma per Thomas Larkin si è aperta un’opportunità diversa legata al padre statunitense. “Forse sarebbe stato più semplice per tutti se anche io fossi andato a Lugano come altri, visto che lì lavorava mio padre, ma proprio delle sue conoscenze in una prep-school nei dintorni di Boston furono decisive per farmi provare il salto oltreoceano. Andai nel 2004 con qualche dubbio sul fatto che questa avventura potesse funzionare o meno, ma sin da subito mi resi conto che avrei potuto avere enormi opportunità sia a livello sportivo che accademico. Il supporto dei miei genitori in tutto questo viaggio è stato fondamentale, io poi ci ho messo tanto per adattarmi in una realtà totalmente nuova. Una realtà che inevitabilmente ha cambiato la mia vita dentro e fuori dalla pista”.
COM’È DURA LA VITA PRIMA DELLE SODDISFAZIONI – Larkin racconta che, da adolescente alto quasi due metri, pensava fosse facile giocare attaccante in un liceo statunitense. I buoni risultati scolastici e una vita piena sembravano apparecchiare un futuro radioso. “E invece dal pensare di essere forte per la prima volta ho scoperto cos’è la vera competizione. In Italia vivevo l’hockey come un puro e semplice divertimento, negli Stati Uniti presto sono stato messo in seconda squadra. L’inizio non è stato semplice, poi mi sono dato degli obiettivi raggiunti un passo alla volta. La dedizione sia a livello sportivo che a livello accademico è stata fondamentale, e alla Phillips Exter Academy ho iniziato a costruire un’etica del lavoro che mi porto dietro ancora oggi”. Il Larkin adolescente a 16-17 anni deve fare i conti con una realtà dura, che al secondo anno di high school lo vede quantomeno promosso in prima squadra seppur in terza linea offensiva. Pochi i minuti giocati in ogni partita e un problema all’orizzonte: “Volevo andare al college e puntavo a una borsa di studio sportiva, era impensabile però averla partendo da una nicchia. Il caso ha poi voluto che il tecnico dei tempi mi propose di spostarmi in difesa perché avevamo perso due giocatori, e da allora è cambiato tutto. Ho trovato il mio ruolo e nel giro di un anno sono finito tra i giocatori da tenere sotto osservazione da parte degli scout. Dopo tanti schiaffoni presi, sportivamente parlando, finalmente le cose stavano iniziando a girare bene”.
LA CHIAMATA, IL SOGNO NHL E L’EUROPA – Nel 2009 Larkin completa la sua quarta stagione con Phillips Exeter Academy, crescendo vertiginosamente di interesse tra gli scout NHL. Questo gli permette anche di iniziare a ricevere parecchie chiamate dai college, fattore importante per la sua vita: “Non semplice venire considerati arrivando dall’Italia, ma piano piano l’interesse nei miei confronti cresceva. Firmo per Colgate University nello stato di New York, e già ero soddisfatto per la prospettiva di poter studiare economia in un ambiente di alto livello”. La notte del 27 giugno 2009 a Montreal succede qualcosa: nel quinto giro del Draft NHL i Columbus Blue Jackets lo chiamano con la 137a scelta, e Larkin diventa il primo giocatore di sempre formato in Italia a ricevere quest’onore. “Per un giorno sono stato sulle nuvole, inutile nasconderlo. Poi come sempre arriva la realtà: al primo rookie camp mi sono accorto per l’ennesima volta di quanto sia grande il mondo dell’hockey trovandomi in mezzo a giocatori mai visti e fortissimi. Tutti concentrati sull’obiettivo, in un hockey inteso in modo diametralmente opposto rispetto ai miei inizi quando era solo divertimento. Insomma, ogni volta che pensavo di essere arrivato la vita mi metteva davanti un nuovo livello di difficoltà: è un po’ la metafora della mia vita”. Una vita che lo porta, dopo le esperienze a Colgate University, agli Springfield Falcons di AHL e agli Evansville Icemen di ECHL a tornare in Europa nel 2015, undici anni dopo la sua partenza. Un campionato e mezzo a Zagabria, quindi nel 2017 lo sbarco in quella Germania che hockeysticamente parlando è ancora casa sua. Sei campionati a Mannheim, con la vittoria del titolo tedesco nel 2019 grazie anche a un suo gol decisivo nella serie finale contro il Red Bull Monaco, e ora da tre agli Schwenninger Wild Wings per i quali indossa sul petto la “C” grande.
CAPITANO MIO CAPITANO – A proposito di quest’ultimo passaggio, da tre stagioni Thomas Larkin è anche il capitano della Nazionale italiana. La domanda sorge spontanea, e non può essere legata solo alla questione anagrafica: come si diventa leader? “Non è una cosa che forzo, probabilmente viene logico ai miei allenatori indicarmi così per l’amore che ho verso questo sport. Ogni allenamento, ogni secondo con il gruppo dev’essere speso nella maniera migliore: questo è il modo che ho di intendere l’hockey ed è ciò che mi hanno insegnato le tante sfide che la vita ha proposto. Le più belle amicizia della vita le ho fatte in questo contesto, cui devo moltissimo. So anche di essere cattivo in certe situazioni: io odio molto di più perdere rispetto a quanto ami vincere e vorrei che anche le persone intorno sentissero questo tipo di disperazione”. Un ruolo, quello del leader del branco che Larkin legge anche così: “Tutti devono rispettare tutti. Dai compagni di squadra allo staff, l’unità e la riconoscenza sono valori fondamentali. Io non ho vinto molto in carriera a livello di club, solo la DEL con Mannheim, ma questo è ciò che ho imparato sin dai tempi di Varese. Provo a trasmettere certi concetti ai compagni, dando una linea comune che valorizzi il concetto di unità”.
MAI DIRE NO – 158 volte azzurro, Thomas Larkin non potrebbe mai dire no alla chiamata della Nazionale. Questo pur partendo dalla base di una carriera già importante nella quale spicca già il posto tra i sei pre-convocati della Nazionale italiana per i Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026. “Venire in Nazionale è una cosa unica, lo faccio per la passione e per l’amore che ho verso la maglia. Indossando l’azzurro torno a respirare quella purezza che sentivo quando giocavo da bambino ed ero sul ghiaccio per divertimento. Ora ho anche l’onore di rappresentare l’Italia, cerco in qualche modo di sdebitarmi con il paese che mi ha fatto conoscere una delle più grandi passioni della vita”.
LAST CALL – Dopo praticamente tutta una vita in pista, con quasi 30 anni tra allenamenti e partite sulle spalle, Thomas Larkin sa spiegare che cosa rappresenta per lui l’hockey su ghiaccio? “Responsabilità e formazione. In questo sport ognuno ha il suo ruolo e per il successo della squadra, e dunque del lavoro di tutti, è fondamentale rispettarlo e farlo al meglio. Inoltre se sono l’uomo di oggi è anche grazie alla struttura che l’hockey mi ha dato nel tempo. Da bambino magari ero un casinista, crescere in un team mi ha sicuramente aiutato a livello di relazioni e disciplina”. E se un giorno la dinastia Larkin continuasse in Nazionale femminile con una delle due figlie del capitano azzurro? “Chissà, la più grande ha cinque anni e pattina, però ovviamente non le imporrò nulla. L’importante è che entrambe seguano le loro passioni, qualsiasi esse siano, e abbiano una vita con un percorso libero e ricco. Io grazie alla carriera ho girato il mondo, viaggiando dal Nebraska a Vladivostók e conoscendo tante belle persone. Mi piacerebbe che anche loro potessero fare ciò che vorranno mettendoci prima di tutto il cuore”.
NELLE PRIME TRE IMMAGINI DI QUESTA PAGINA THOMAS LARKIN IN MAGLIA VARESE FESTEGGIA IL TITOLO DI SECONDA DIVISIONE UNDER 16 2005/2006 VINTO BATTENDO IL FIEMME 7-0 IN FINALE CON DUE GOL. DI SEGUITO IL CAPITANO DELLA NAZIONALE NEI SUOI PRIMI ANNI IN AZZURRO, UNA CARRIERA INIZIATA AL MONDIALE UNDER 18 DI MARIBOR DEL 2007. INFINE L’OGGI DI THOMAS LARKIN IN MAGLIA AZZURRA



















