Nazionale italiana, intervista con Diego Kostner: “Giovani non arrendetevi mai e credete nei sogni. Io in Svizzera quasi per caso e da 14 anni in azzurro”

È una Nazionale maschile dal profilo misto quella che scenderà sul ghiaccio di Sosnowiec per la prima tappa della nuova European Cup of Nations. Insieme a diversi giovani e a quattro giocatori a caccia della prima presenza in azzurro ci sono anche dei veterani, lista nella quale si può inserire Diego Kostner. Il 33enne gardenese, che può vantare 177 caps con la Nazionale per un percorso iniziato nel 2011, è uno dei sei pre-selezionati per l’Olimpiadi Invernale di Milano-Cortina 2026 e grazie alla sua leadership si è anche guadagnato il ruolo di assistente capitano in diversi Mondiali (compreso l’ultimo della scorsa primavera). Una leadership guadagnata grazie a tanti anni giocati ad alto livello in Svizzera, paese nel quale non pensava di iniziare a giocare ma che invece insieme all’azzurro è diventata la costante della sua vita. Diego Kostner da poco ha tagliato il traguardo delle 400 partite giocate con la maglia dell’Ambrì Piotta in cui milita dal 2016: la sua carriera però inizialmente sembrava potesse prendere una strada diversa e un po’ più a nord.

GLI AZZURRI SONO PRONTI AL DEBUTTO CON LA POLONIA

“Ho iniziato a giocare in Val Gardena anche grazie all’ispirazione di mio padre Thomas (ex giocatore e allenatore dei ladini ndr) ma senza spinte o forzature. Alternavo calcio, tennis e lo sci durante l’inverno, poi a un certo punto ho fatto una scelta. Crescendo volevo provare un’esperienza all’estero e puntavo a un posto in Deutsche Nachwuchsliga, la principale lega giovanile tedesca. Nell’estate 2007 con il Val Gardena giovanile giochiamo un torneo a Zell am See, l’allenatore dei Pikes Oberthurgau mi ha notato e proposto di andare a giocare con loro nella lega Elite degli Under 17. Ne ho parlato con la famiglia e sono partito appena ad agosto. Due anni e una bella esperienza, anche personale, fa un po’ strano pensarci ora dopo così tanto tempo”.

Nel 2009 il suo passaggio a Lugano, per finire la carriera giovanile e firmare il primo contratto da professionista. Quanto è stata dura?
“Abbastanza, soprattutto all’inizio ci vuole enorme forza di volontà. Serve tenere duro, le difficoltà non mancano e il fatto di essere considerato uno straniero in certe situazioni non ha aiutato. L’idea poi di acquisire la licenza svizzera (e quindi giocare come un elvetico in ogni formazione ndr) ha poi facilitato la mia scelta di rimanere e continuare fino all’ingresso nel Lugano. Se dovessi dare dei consigli a un giovane direi di credere nella strada che si sceglie, lavorando duro soprattutto in quell’età nella quale si può crescere tanto ogni stagione da ragazzi. Serve anche fortuna per trovare un ambiente dove vengono concesse delle possibilità, ma il talento emerge sempre alla fine”.

C’è un momento nel quale ha pensato di non farcela?
“Direi di no. La famiglia mi ha sempre detto come se avessi voluto sarei potuto tornare a casa per fare altro, questo mi dava ancora più spinta perché volevo ringraziarli e ripagare i loro sacrifici in ogni modo e ci sono riuscito”.

Dal 2011 al 2016 con il Lugano, arrivando anche a giocarsi una finale con il Berna. Quali i ricordi più importanti di quell’esperienza?
“Prima di tutto il momento nel quale, dopo il training camp estivo, l’head coach Larry Huras mi disse di tenere il materiale nello spogliatoio della prima squadra. Non ho pensato allora, e mai l’ho fatto, di essere arrivato però di conseguenza sono arrivate tante cose. La prima partita contro lo Zurigo, il primo gol marcato a spese del Bienne, tante belle sensazioni”.

Chiusa l’esperienza in bianconero è passato pochi chilometri più a nord con il biancoblù dell’Ambrì Piotta. Un’avventura tutta ticinese fatta di momenti particolari.
“Decisamente sì, soprattutto nei derby tra rimonte incredibili e anche qualche problema fuori dal ghiaccio, come quella volta in cui nella vecchia Valascia siamo dovuti rimanere fino a notte in spogliatoio per ragioni di sicurezza. Mi trovo molto bene all’Ambrì perché so di giocare in una squadra dal contesto molto particolare e dal tifo unico: un’Arena da 6.775 posti per un paese di 926 abitanti sembra un controsenso eppure esiste”.

Capitolo Nazionale, nel 2011 il debutto in amichevole poi l’anno seguente qualificazioni Olimpiche e il primo Mondiale di Budapest con la promozione in Top Division. L’inizio di un percorso lunghissimo segnato anche dal suo assist a Pat Iannone per il gol decisivo del 2-1 sull’Ungheria.
“Sono passati tanti anni da quell’avventura con Tom Pokel come allenatore. Non ricordo neanche quanti Mondiali ho giocato con l’Italia (sono 10 ndr), le statistiche mi piacciono il giusto. La sensazione più bella che ho quando sono con la Nazionale è quella di far parte di un gruppo con il quale sto bene. In tanti giochiamo all’estero, quando ci raduniamo è bello ritrovare amici ancora prima che compagni e rappresentare l’Italia insieme. I risultati poi contano, ci mancherebbe, ma la prima sensazione a cui penso quando vedo l’azzurro è la gioia di lottare insieme a dei giocatori per lo stesso obiettivo, tutti compatti”.

Lei è uno dei sei pre-selezionati per le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026. Quanto questa cosa influisce sul suo presente?
“Innegabilmente ci penso, a volte anche tanto, ma senza esagerare perché non vorrei che poi dal piacere si passi alla preoccupazione. Chiaramente è un sogno il fatto di poter vestire la maglia dell’Italia alle Olimpiadi, per di più in casa, ma cerco di sfruttare la mia esperienza per lavorare con serenità giorno dopo giorno. Sicuramente sarà eccitante giocare con i migliori al mondo, vista la presenza dei giocatori NHL, e penso che ogni giocatore che sarà presente con la Nazionale dovrà vivere quelle settimane con entusiasmo e senza pressioni particolari”.

Se dovesse dare un consiglio a qualche giovane giocatore, magari inserito nel giro delle Nazionali giovanili, per arrivare a fare un percorso come il suo cosa direbbe?
“Di non arrendersi mai e lavorare sempre duro, dal primo all’ultimo giorno di ogni stagione. Le occasioni ci sono e partendo anche dalle amichevoli di novembre, dicembre o febbraio chiunque vesta la maglia della Nazionale può arrivare a grandi traguardi. L’hockey è uno sport dove ognuno ha un ruolo preciso: sceglierlo, rispettarlo e onorarlo è la chiave”.